lunedì 11 dicembre 2006

The Bad Plus

Il jazz è un genere musicale che gioca e sperimenta soprattutto con il suo passato. Tutti i grandi musicisti jazz hanno speso parte della loro vita – e del loro genio – a confrontarsi con standard, classici, evergreen. Inutile chiedersi quante volte sia stata eseguita My funny valentine, ‘Round midnight, My favorite thing. Il jazz che rilegge il jazz è una costante che attraversa tutta la storia di questo tipo di musica. Poi sulla scena appaiono i The bad plus, e certezze di questo tipo cominciano a vacillare. Perchè la loro musica non ha la patina gloriosa del tempo che fu, non pronuncia melodie sepolte nella nostra memoria, ma affonda le sue radici direttamente nel presente. La loro opera prima, l’ormai celebre “These are the vistas” (Columbia, 2003), è un emblema perfetto del tipo di lavoro che la band porta avanti. Su un totale di dieci canzoni, tre sono cover: Smells like teen spirit dei Nirvana, Flim di Aphex Twin, Heart of glass dei Blondie. E come se non bastasse, tutte le altre tracce presenti nel disco non suonano come se fossero semplicemente jazz, ma in più manifestano la potenza del rock, la semplicità melodica del pop, la velocità scatenata della drum’n’bass, e la cura della notazione musicale della musica classica. Una musica incredibile, davvero. Soprattutto: una musica coinvolgente, del tutto lontana da quella roba noiosa e complicata che si ascolta in giacca e cravatta tra uno sbadiglio e l’altro. E la cosa che più stupisce non è tanto il frullare impazzito di note che viene a prenderti dovunque sei, ma che quella musica esca fuori da una tipica formazione jazz. Il piano-trio: pianoforte, contrabbasso, batteria. Infilate “Sospicious Activity?” nel lettore e lasciate le tracce compiere il loro corso. Troverete solo Chariot of fire a riportarvi alla memoria musica già ascoltata, qui resa più evocativa e potente. Il resto è puro stile The bad plus. Il pianoforte di Ethan Iverson che sa essere rapido ed esatto (Anthem for the Earnest), o intenso e noise (Prehensile dream). La batteria di David King che scolpisce il ritmo con cadenze perfette e intanto ricama tocchi e colpi che accelerano l’esecuzione (Rhinoceros is my profession). Il contrabbasso di Reid Anderson a dare profondità ed esattezza al suono che si fa più rotondo e compatto (Let our garden grow). Ma non è semplice dividere ruoli e assegnare meriti. Non è il “solito” jazz alla Keith Jarrett – con tutto il rispetto per il Maestro! - dove ogni tanto un musicista inizia ad improvvisare a turno, nel silenzio degli altri che assistono e rilanciano e seguono il ritmo. Sono lunghi assoli collettivi, le composizioni dei The bad plus. Musicisti che si tengono per mano, tenacemente, anche quando uno solo di loro corre e accelera il tempo.


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