domenica 19 novembre 2006

Di arte, mucche e altri bovini

La prima notte che arrivo a Lisboa, in giro per le strade, le piazze, è pieno di mucche. Ma non sporcano, non si muovono, tantomeno muggiscono. Stanno lì, in perfetto stile bovino, come se non ci fossero. A ruminare il tempo. Quelle mucche, Il Qui Presente, le ha già viste, e fotografate, a Parigi. Sono statue raffiguranti mucche, simulacri di mucche affidate ognuna ad una artista che ha potere contrattuale sulla mucca medesima e la decora/dipinge/affresca come meglio crede. In Francia, quella cosa lì, la chiamavano VACH’ART: l’arte delle mucche: e le statue erano disseminate dappertutto, nelle mise più stravaganti – ce n’era persino una a reggersi su due zampe, con tanto di tutù rosa, e un’espressione classica da danza classica, nonostante mansueti occhioni bovini. A Lisboa, lo stesso. Da quanto avevo letto, tempo fa, queste mucche transumano da una grande città all’altra. Hanno già compiuto il giro del mondo, forse. E stanno creando uno dei casini più pazzeschi della storia della zoologia. Molti finiranno con il credere le mucche animali migranti piuttosto che esseri stabili, sedentari, impiegati nei migliori caseifici. Comunque. La questione è un altra. Da qualche tempo si registra un movimento inverso. Prima erano le persone a muoversi verso l’arte, ad entrare nei suoi sistemi, ad accettare le sue tassonomie, a visitare i grandi luoghi di culto dell’arte: i musei. Oggi è il contrario. È l’arte a muoversi verso le persone, a scovarle nel loro ambiente quotidiano, a seguirle, catturare la loro attenzione. È come se l’arte, in uno scatto di sopravvivenza, avesse voluto abbandonare quelle grandi bare che sono i musei e la loro aria da lutto perenne. Il Bairro Alto, altro quartiere storico di Lisboa, a due passi dal centralissimo Chado, sembra confermare tutto questo. Ogni parete del quartiere è un fitto mosaico coloratissimo di segni, scritte, graffiti, stencil – figurine bidimensionali tracciate in vernici di solito mono o bi-cromatiche. È una tela a cielo aperto, il Bairro Alto, tela che si modifica e cambia giorno dopo giorno. E l’arte che si respira lì, proprio come le mucche, è molto pop, vagamente vintage, quasi tutta anti-, e molto molto post-: post Sessantotto, Ideologie, Avanguardie. Ed è la stessa cosa che ritrovi in giro per tutte le città del mondo. Come se ci fosse un movimento unico che abita le Reti e comunica e si sfida a distanze impensabili. Un’arte popolare molto globalizzata, in rotta di collisione con le accademie, che mastica fumetti e cinema, e che torna prepotentemente al figurativo dopo anni tragici di astratto e finti sacerdoti espressionisti e cagate simili. È arte che ritorna a dire qualcosa, a sfidare qualcuno, a porsi in contatto con persone comuni e con il loro mondo fatto di consumo & mass-media & stress & lavoro precario & vita incerta. Tecniche a parte, è l’idea formalizzata nel modo migliore, quella che si ricorda. Perchè, forse, più di ogni altra cosa, sono idee i segni, le scritte, i graffiti, gli stencil, e le mura immense enciclopedie del paradosso e del controsenso. Così, torna a respirare l’arte, di nuovo, chiamandoci direttamente in causa, interrogandoci e mettendoci alla prova. Nei musei, tra tanto splendore, sacerdoti e liturgie funerarie, di sicuro, i bovini, in coda e mansueti, eravamo NOI.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ohlala... tutto questo (avevi ragione) mi ricorda qualcosa* e mi riempie di nostalgia - soprattutto per la mia MUUU di cucchiaini da dessert a St. Germain! :)

Scherzi a parte, se ho qualche perplessità sull'artisticità di questa invasione, l'allegra combriccola mi ha divertita, spezzando in qualche modo l'abitudine di passi frettolosi e regalandomi il pretesto per dei giochi.

Ma è sufficiente? Chi ama davvero l'arte, non desidera che essa compia sulla persona una trasformazione profonda, in qualche modo definitiva? Non dovrebbe, l'opera, accompagnare tutta una vita, come un pugno nello stomaco Caravaggesco?

Ops... ok, non mi spingo oltre ;)